La camera oscura

foto: D. V.

 

 

 

 

 

“Mi spieghi ancora una volta come è successo” mi disse il Professore mentre mi rilassavo sulla poltrona lillà fissando un debole raggio di sole che filtrava attraverso le persiane socchiuse.

Strinsi gli occhi alla ricerca di quel ricordo, sapevo bene come era iniziato, non avevo problemi a raccontare tutto ancora una volta. Chiesi al Professore di chiudere meglio le imposte e cominciai il mio racconto.

 

“Io e Marley eravamo là per un laboratorio di approccio creativo alla fisica quantistica. I suoi esperimenti con la fotosintesi e le nanotecnologie erano appassionanti. Ci eravamo conosciuti due anni prima in Nuova Zelanda quando ero stata ospite dell’università di Tanapura. Lavorammo bene insieme e quando all’Università del Sud nacque il corso sperimentale di arte e nanonotecnologie fummo noi ad essere chiamati per una prima sessione di insegnamento.

Ci diedero una camera doppia, non me ne rallegrai ma misi da parte il mio pudore visto che Marley era un amico. Marley mi chiese di tenere sempre le serrande abbassate e le tende chiuse. Non me ne feci un problema e lo assecondai. La prima notte trascorse tranquilla, almeno per me. Sentivo Marley che si agitava nel sonno, si girava e si rigirava, si lamentava sommessamente. Durante il giorno indossava occhiali scuri e magliette a maniche lunghe nonostante il caldo. La seconda notte non sentii nulla. La terza notte mi svegliai di soprassalto e a pochi centimetri dal mio viso vidi gli occhi di Marley che mi fissavano spiritati. “Oddio Marley, cosa succede?” Marley era inginocchiato accanto al mio letto, sveglio come un animale notturno. “Non riesco a dormire baby” mi rispose sussurrando, “Ti desidero baby e voglio aiutarti, lasciami entrare nel tuo letto”. Lo respinsi. Gli dissi di lasciarmi in pace e lui umilmente si allontanò. Ma dopo poco riaprii gli occhi con un senso di inquietudine e lui era di nuovo lì, in ginocchio accanto a me. “Cosa fai Marley?” chiesi annoiata. “Non mi muovo da qui baby, se non mi fai entrare nel tuo letto passerò la notte in ginocchio accanto a te, lasciami fare e me ne sarai grata per sempre.” Era un amico e mi dava fastidio che stesse lì sul pavimento freddo e duro, mi arresi e alzai il lenzuolo per farlo entrare. Come un bambino felice saltò tra le coperte e immediatamente si adoperò per il mio piacere. Non avevo nessuna attrazione erotica per Marley ma lui aveva un’ottima tecnica e mi fece godere con la sua lingua esperta. Ci addormentammo abbracciati e così fu per le tre notti rimanenti. L’ultimo giorno, occhiali scuri e camicia a maniche lunghe come sempre, andando in taxi all’aereoporto mi disse queste parole: “Ho visto il futuro. Ti ho lasciato un ricordo sotto la pelle, baby.”

Non lo vidi più ma dopo tre mesi di insopportabili pruriti mi diagnosticarono una dermatite atopica. Come sa Professore da allora ho seguito tutte le indicazioni necessarie per debellarla ma la mia pelle è diventata sempre più sensibile, ora  non posso neanche più espormi alla luce. Ho cercato di contattare Marley per avere delle risposte ma è sparito, sembra non aver lasciato nessuna traccia di sé. Dermatologi e oncologi non hanno saputo dirmi nulla, per questo mi sono rivolta a lei, voglio tornare ad avere una vita normale.”

Il Professore si alzò dalla sua poltrona lillà, sbirciò fuori attraverso le serrande e mi versò un bicchiere d’acqua, poi parlò:

“Questa “è” la sua vita normale ora, siete in pochi, Marley era evidentemente uno di voi, anzi, forse il primo, deve aver trovato una soluzione grazie ai suoi studi di fisica quantistica. Probabilmente sarete gli unici ad adattarsi al nuovo ecosistema.”

Sospirai, non potevo aspettarmi che un filosofo avesse la macchina del tempo. Bevvi l’acqua, gli strinsi la mano e uscii in strada, il sole pallido stava tramontando in anticipo di trenta secondi rispetto a ieri . Le giornate duravano sempre meno nonostante fosse estate.

Ripensai alle parole di Marley: Ti ho fatto un regalo, ho visto il futuro, baby. Il Professore aveva ragione, il mio corpo si stava solo preparando per l’oscurità.

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